Stivor , tra la legenda

STIVOR, TRA LEGENDA E REALTA’

Stivor, come colonia trentina, nacque attorno agli anni ’90. Al momento del loro arrivo in questa terra bosniaca i coloni ottennero ai dintorni di Palackovci, Babanovci, Velika Ilova, Glogovac, Jadovica, Modran, Sibovska, Prnjavor, Kulasi e Doboj delle terre da coltivare. Nei primi anni di permanenza l’emigrazione trentina in Bosnia fu caratterizzata da un forte dinamismo. I trentini giunti in terra slava furono gettati allo sbaraglio nelle foreste e nelle terre incolte disponibili. Dal 1883 agli anni ’90 assistiamo ad una sorta di disperato vagabondaggio da parte delle famiglie trentine che si trovano costrette a cercare un provvisorio riparo. Le stese famiglie avevano visitato più di una zona prima di trovare la loro definitiva sistemazione a Stivor. La decisione di abbandonare le terre concesse dal governo austriaco per portarsi in altre zone era dettata da due motivazioni: la ricerca di una terra migliore ed il desiderio di avvicinarsi ai propri conterranei.


Stivor,1930 circa. Gruppo di emigrati.

L’acqusizione di nuove terre come scelta libera ed individuale dei singoli coloni veniva gestita direttamente dagli interessati i quali stipulavano contratti direttamente con i proprietari bosniaci.
Giunti in terra bosniaca i coloni dovevano attendere parecchi giorni prima di ricevere le terre loro riservate. Nel frattempo le famiglie che potevano permetterselo alloggiavano nelle osterie, molte altre si costruirono un riparo di fortuna nella foresta.
Le autorità austriache avrebbero dovuto consegnare ai coloni i capi di bestiame promessi, ma, anche in questo caso gli aiuti non furono mai conformi agli accordi presi prima della partenza. Vi furono casi in cui le sfortunate famiglie non ottennero né denaro né animali, ma solo una ridotta porzione di farina di pessima qualità tanto e vero che per alcuni giorni erano costretti a vivere di soli frutti.
I comuni del Trentino avevano tutto l’interesse a mantenere all’estero i propri censiti.

Stivor, 1938 circa. Da sinistra:Stefano Klaser, Ferdinando Andreata, 
Antonio Boker, in ginochio Andrea Agostini

L’emigrazione in quel periodo era considerata una necessaria valvola di sfogo e più volte i comuni avevano segnalato alle autorità i benefici derivanti dagli espatri di massa. Tutti i comuni, pur conoscendo le difficili condizioni di vita degli emigrati, auspicavano l’acquisizione da parte dei coloni di nuova residenza e scoraggiavano gli eventuali rimpatri, anche per timore di un rientro di massa che avrebbe messo in crisi l’amministrazione comunale.

 

STORIE DI VITA A STIVOR

La tenacia, la laboriosità e la caparbietà della gente trentina permisero agli emigrati valsuganotti di superare i primi duri anni. Le famiglie si erano riunite attorno alle prime case dei valsuganotti residenti in quella zona: gli Andreatta, gli Agostini, i Paternoster, i Montibeler ecc.
Tutti attorno un’infinita di alberi di prugna, alberi che hanno dato il nome al piccolo villaggio. Prugna in slavo si dice sliva, poi nell’uso corrente l’errata pronuncia lo tramutò in stivar e poi via via fino a diventare Stivor.
“Stivor ha una strada principale di circa, calcolando dalla prima casa fino in cima, 2-3 km di lunghezza, ai lati della strada ci sono le case poi ci sono due strade traverse una dove abitano i Klaser e poi una strada più bassa che noi chiamiamo valle perché è un po’ più bassa del livello di Stivor, dove abitano i Dalsaso i Paternoster i Tissot ecc…” racconta Miro Agostini.
La terra era da sistemare, non già pronta come pensavano loro, c’erano boschi, colline, hanno dovuto eliminare i boschi e preparare la terra per coltivarla, col tempo e col loro lavoro la terra è diventata Stivor.
Erano tutti contadini e come tali tentarono di trapiantare in quella terra i prodotti delle campagne trentine innanzitutto la vite. Le qualità di uva erano il clinto o cincon, che dava un vino forte e scuro, la rossara che dava un vino rosato e frizzante.

Piero Agostini e Gioconda Sigismundi 
entrambi emigrati a Stivor

Nonostante fossero tutti contadini, la necessità di ottenere una certa disponibilità finanziaria spinse molti di loro a cercare lavoro come muratori o carpentieri. La loro abilità nel campo edile permise a tutti gli abitanti di Stivor di costruirsi da sé la propria abitazione potendo contare su una forte collaborazione. Fu impossibile costruire case come quelle lasciate in Tirolo, la zona è molto povera di sassi, quindi le abitazioni furono costruite con mattoni, mentre per il tetto si utilizzava la paglia di segala.
Passati i primi anni un alone di serenità avvolse l’oasi valsuganotta della Bosnia. Nonostante tutte queste fatiche i valsuganotti sapevano mantenere l’allegria.
“Sempre contenti, sempre cantare, mio padre aveva sette fratelli, cinque di loro in mezzo alla stanza a cantare la sera, erano bravi, poi a zappare, mezzi affamati, ma cantavano, oh che canti!, ricordi allegri nel campo, si mangiava una cipolla e un po’ di polenta, e cantare, una zuppiera di insalata e via. Non c’era tanta carne, si uccideva un maiale all’anno, più di tutto si mangiava verdura, crauti, ne facevamo tanti, patate, fagioli, si seminava presto l’orto e allora si mangiava insalata e fortaia, polenta, pinza …” racconta M. Paternoster.
L’isolamento dall’Italia il carattere conservatorio della comunità hanno contribuito in maniera determinante a svillupare alcune caratteristiche propri della comunità di Stivor. Lingua, usi e tradizioni trentine si sono mantenuti inalterati negli anni. Dopo più di cento anni a Stivor si continua a parlare il dialetto della Vasugana.
Negli anni prima della seconda guerra mondiale, la ricerca di lavoro salariato si limitava ai dintorni di Banja Luka, Derventa, Doboj e, in un secondo tempo, alla Croazia. Nel secondo dopoguerra le mete dei lavoratori di Stivor si fecero via via più distanti raggiungendo l’Austria e la Germania. In questi casi si trattava di trasferimenti temporanei, ma vi furono anche nuove migrazioni definitive. L’Australia divenne meta comune per molte famiglie quelle che si stabilirono nei pressi di Camberra e Sidney; fra queste Paternoster, Montibeler, Tissot, Osti, Agostini e Dalsasso.

Stivor, 1937.
Giovani Battista Sigismundi, detto <<Tita>>
con la seconda moglie di nazionalità Croata.
Decisamente più vicini, ma ugualmente definitivi furono i trasferimenti di alcune famiglie a Indjia e Batrovci. A Indjia c’è una via abitata esclusivamente da valsuganotti provenienti da Stivor. Tutti questi lavoratori si avvalsero della decennale esperienza nel campo edile tale da farli divenire apprezzati artigiani in gran parte della Bosnia.